Regione Toscana
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MINISTERO DELL'INTERNO  
CIRCOLARE 8 gennaio 2001
  OGGETTO: Efficacia retroattiva della sentenza n. 87 resa dalla Corte Costituzionale in data 16.4.1975 - Nuovi orientamenti interpretativi per le donne coniugatesi dopo il 1° Gennaio 1948 con stranieri.  
 


 
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La Corte Costituzionale con la sentenza n. 87 del 16.4.1975, dichiarò l'illegittimità dell' art. 10 della Legge 13.6.1912, n. 555  nella parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza, indipendentemente dalla volontà dell'interessata, per la donna italiana che acquistava la naturalità straniera del coniuge per effetto di matrimonio.

A seguito di tale sentenza, il Legislatore, con la Legge di Riforma del Diritto di Famiglia ( n. 151 del 19.5.1975  ), nello stabilire che la moglie conservava la propria cittadinanza indipendentemente dalle vicende di cittadinanza del marito, formulò altresì l' art. 219  che consentiva alle donne che avevano perso la cittadinanza per matrimonio con straniero o per le vicende di cittadinanza del marito, di riacquistarla tramite una espressa dichiarazione.

Tenuto conto del tenore letterale della disposizione in argomento - "la donna che, per effetto del matrimonio con straniero o mutamento di cittadinanza da parte del marito, ha perduto la cittadinanza italiana prima dell'entrata in vigore della presente legge, la riacquista con dichiarazione...." - era stato ritenuto che per tutte le fattispecie cristallizzatesi anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge n. 151  la dichiarazione in argomento avesse natura costitutiva. Ciò comportava che il riacquisto della cittadinanza aveva effetto dal giorno successivo a quello della dichiarazione.

Tale interpretazione circoscriveva quindi gli effetti temporali della sentenza n. 87 limitandone l'efficacia retroattiva, così che le ex cittadine non ottenevano la reintegrazione "ope legis" nella originaria cittadinanza, ma solo la facoltà di riacquistarla. Su tale questione è sorto un vasto contenzioso.

Da ultimo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12061 del 26.6.1998, hanno confermato la posizione già assunta in passato dalla Suprema Corte, sostenendo che le pronunce di incostituzionalità "sopravvenuta" per effetto dell'introduzione del dettato costituzionale comportano l'eliminazione della norma dichiarata incostituzionale dall'ordinamento giuridico solo ed esclusivamente a decorrere dal 1.1.1948, superando la giurisprudenza della I° Sezione Civile di quella Suprema Corte (sentenze nn. 6297 e 10086 rispettivamente del 10.7.1996 e del 18.11.1996) di cui erano state rese note le conclusioni da questo Ufficio con circolare pari numero in data 10.12.1996.

Secondo il costante orientamento delle Sezioni Unite, gli effetti di una pronuncia di incostituzionalità, nel caso di antinomia costituzionale sopravvenuta, "non possono retroagire oltre la data del 1° gennaio 1948, sicchè i rapporti sorti e le situazioni verificatesi anteriormente a questa data rimangono intangibili e non possono in alcun modo essere incisi dalla sentenza stessa".

Pertanto, nella fattispecie oggetto della pronuncia del 1998 (matrimonio contratto con straniero anteriormente al 1948) l'interessata, per effetto del matrimonio, perse la cittadinanza italiana e può riacquistarla con efficacia ex nunc avvalendosi dell' art. 219, comma 1 della citata legge n. 151/1975  .

C'è da osservare, peraltro, che le Sezioni Unite nella recente sentenza non hanno toccato la posizione di cittadinanza delle nostre connazionali coniugatesi con cittadino straniero dopo il 1° gennaio 1948, non rientrando nel caso oggetto della pronuncia stessa. Per tali fattispecie, questo Ufficio ha finora ritenuto, di intesa con il Ministero della Giustizia e con il Ministero degli Affari Esteri, che la dichiarazione di riacquisto della cittadinanza italiana resa da parte dell'interessata ai sensi del citato art. 219  non potesse che avere natura costitutiva.

Essendo pervenuta di recente, una pronuncia giurisprudenziale in senso contrario a tale indirizzo, quest'Amministrazione ha interpellato l'Avvocatura Generale dello Stato. Il predetto Organo Legale, con nota n. 669482 del 23 giugno 2000, ha espresso l'avviso che gli effetti della soprarichiamata sentenza n. 87/75 retroagiscono alla data del 1° gennaio 1948 e che la dichiarazione di cui al citato art. 219 non determina il riacquisto della cittadinanza italiana, ma disciplina solo le condizioni per poter esercitare i diritti connessi alla detenzione del nostro status civitatis. Ne consegue che le nostre connazionali, coniugate con cittadino straniero a decorrere dal 1° gennaio 1948, non sono incorse automaticamente nella perdita della cittadinanza italiana.

In analogia, non hanno automaticamente perso la cittadinanza italiana le cittadine il cui coniuge l'ha perduta dopo il 1° gennaio 1948. Pertanto, alla luce del parere espresso dall'Avvocatura Generale dello Stato d'intesa con i Ministeri della Giustizia e degli Affari Esteri, deve ritenersi che alle coniugate dopo il 1° gennaio 1948 in presenza di una manifestazione di volontà, ancorché già espressa, vada riconosciuto il possesso ininterrotto del nostro status civitatis. Tale riconoscimento potrà avere luogo anche nel caso venga fatto valere dai discendenti in linea retta.

L'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di nascita o di ultima residenza o l'Autorità Consolare, in caso di residenza all'estero, dovrà di conseguenza provvedere alla annotazione a margine dell'atto di nascita dell'interessata del mantenimento della cittadinanza italiana dandone comunicazione all'Ufficio Anagrafe per i conseguenti adempimenti, riguardanti l'aggiornamento della relativa scheda anagrafica individuale, dello schedario elettorale e l'eventuale iscrizione nell'A.I.R.E.

Poiché comunque alcune donne, benché coniugate dopo il 1° gennaio 1948, non hanno potuto rendere la suddetta manifestazione di volontà, in analogia alla opzione prevista in relazione agli effetti conseguenti alla sentenza n. 30/1983 secondo la quale i figli di madre cittadina nati a decorrere dal 1° gennaio 1948 acquistavano alla nascita la cittadinanza italiana - anche i figli delle predette, qualora manifestino una volontà in tal senso, si possono considerare cittadini italiani.

Pertanto, ove gli interessati ne facciano richiesta, gli operatori di stato civile dovranno procedere preliminarmente all'annotazione del possesso ininterrotto del nostro status civitatis in favore della genitrice e successivamente agli incombenti concernenti il riconoscimento della cittadinanza italiana in favore dei richiedenti.

Per quanto concerne, invece, le fattispecie anteriori al 1948, nulla vi è di innovato, in quanto la recente sentenza della Corte di Cassazione (Sez. I° Civ. n. 15062 del 22.11.2000), di cui è stato dato ampio risalto negli organi di stampa, non ha fatto altro che confermare la linea adottata dalla stessa sezione già in precedenza che, comunque, al momento, costituisce un indirizzo isolato e pertanto esplica i suoi effetti esclusivamente tra le parti in causa.

Ciò premesso, le SS.LL. vorranno disporre affinché il contenuto della presente circolare venga portato a conoscenza di tutti i Sigg. Sindaci dei Comuni ricadenti nell'ambito territoriale di competenza per l'esatta osservanza degli orientamenti sopra evidenziati, fornendo un cortese cenno di intesa ed assicurazione.

 

IL DIRETTORE GENERALE: Sorge