Regione Toscana
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MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI  
NOTA 28 ottobre 2013, n. 2206
  Oggetto: Visti per ricongiungimento di cittadini somali. Problematiche documento probante stato coniugale.  
 


 
  urn:nir:ministero.affari.esteri:nota:2013-10-28;2206


 

In relazione alla problematica dei visti di ricongiungimento per cittadini somali, già oggetto di precedenti comunicazioni a codesto Centro Visti, si fa stato delle continue difficoltà incontrate da questa Ambasciata nell'espletamento delle verifiche di competenza della relazione parentale, in particolare nel caso di coniugi privi di prole in cui non è esperibile l'esame del DNA ai fini dell'accertamento del legame familiare.

Nei casi di solo matrimonio, infatti, l'autenticità della relazione viene compromessa da fortissime riserve sull'inattendibilità, formale e sostanziale, dei certificati di registrazione del matrimonio che vengono comunemente rilasciati dalle Autorità del Kenya e che costituiscono l'unico documento probante il rapporto di coniugio presentato dai richiedenti il visto di ricongiungimento familiare.

Nessun altra attestazione integrativa è infatti acquisibile dagli interessati sia perchè i certificati di matrimonio eventualmente rilasciati dalle Autorità sornale (e di cui sono generalmente sprovvisti) sono a maggior ragione inaffidabili - come del resto la totalità degli atti rilasciatl in Somalia successivamente al '91 - sia perchè i locali Organismi Internazionali non rilasciano ai cittadini somali tale tipo di certificazioni.

Peraltro, la corruzione endemica che caratterizza questo tessuto sociale, comunità somala e popolazione locale, ivi inclusi i funzionari amministrativi kenyani preposti al rilasclo di certificazionl, consente con estrema facilità, spesso dietro corrisponsione di clenaro, l'acquisizione di documentazione che, proprio per il modo con il quale viene ottenuta, si può ritenere falsa sia da un punto di vista formale che del suo contenuto sostanziale.

Sul piano formale ed ai fini della propedeutica legalizzazione dei certificati di matrimonio rilasciati in Kenya dal Khadi (autorità religiose riconosciute dall'ordinamento kenyano e preposte alla celebrazione dei matrimoni di rito islamico ed al rilascio dei relativi certificati di registrazione) si provvede regolarmente a chiederne la verifica di autenticità a questo Ministero degli Esteri ovvero direttamente alle citate autorità religiose emittenti; ciò in difetto di una raccolta delle firme dei funzionari formatori degli atti, Khadi inclusi, i quali per locale prassi consolidata non procedono alla loro formale deposizione. In un incontro avuto con il Deputy Khadi presso il suo ufficio di Nairobi (il Khadi si trova infatti a Mombasa, dove vi è piu' elevata densità di cittadini kenioti di fede islamica), egli ha assicurato piena collaborazione a questa Ambasciata ma ha condiviso le nostre preoccupazioni per il difetto di integrità del sistema nel suo complesso, soprattutto a livello di "Registrar" (autorità che formano l'attestato poi sottoposto alla firma del Khadi), sui quali egli lamenta unlimitato potere di controllo.

Si ricorda, infine, che lo stesso Ministero degli Esteri all'atto della legalizzazione si limita ad apporre sul certificato di matrimonio il proprio timbro tondo senza specificare il nome del formatore dell'atto nè la sua capacità legale.

Dal punto di vista sostanziale, invece, l'unico strumento di verifica utilizzabile da questa Ambasciata è l'intervista con il ricongiungendo che viene infatti sistematicamente effettuata alllorchè il legame matrimoniale sia vantato in base al solo certificato locale di avvenuta registrazione.

Da tali interviste emerge un resoconto che spesso non si concilia con gli elementi contenuti nel certificato, con un quadro familiare non credibile ed un vincolo coniugale - quand'anche contratto - finalizzato all'ottenimento del visto d'ingresso in Territorio Nazionale; visto che viene pertanto negato ex art. 29, comma 9 del TU 286/98  come modificato dall' art. 2 comma 9 del D. Lgs. 5/2007  .

Ma ciò che è piu' grave e che ultimamente emerge nella quasi totalità dei casi nel corso delle interviste è la modalità fraudolenta di ottenimento dei certificati kenyani di registrazione del matrimonio, come gli stessi intervistati candidamente riconosoono, in palese contrasto con i riscontri anche formali di autenticità e veridicità che pervengono (tranne per rarissime eccezioni) dalle Autorità locali, Khadi compreso, alle quali i certificati stessi vengono sottoposti in via preliminare per verifica.

Di seguito si elencano i diversi elementi, emersi verbalmente in sede di intervista, relativi dell'acquisizione dei certificati kenyani di registazione dei matrimoni - siano essi stati contratti in precedenza in Kenya, in Somalia o altro Paese. Tali documenti sono ottenuti:

a) tramite facilitatori che operano all'interno della comunità somala (persino tassisti negozianti) rintracciabili nei locali di ritrovo del quartiere somalo di Eastleigh nella Capitale;

b) al costo di 250/300 USD, a fronte di qualche migliaio di scellini kenyani normalmente percepiti dalle competenti autorità ai fini del rilascio dello stesso certificato;

c) con comunicazione verbale e non documentata di tutti i dati contenuti nel certificato oggetto di registrazione (in definitiva il diretto interessato comunica a voce al mediatore i nomi degli sposi, dei genitori e dei testimoni nonchè il luogo e la data di celebrazione del matrimonio ed il mediatore, a sua volta, li riferisce sempre verbalmente ai formatore dell'atto);

d) completi in tutte le loro parti, incluse le firme dei testimoni e degli stessi sposi (gli uni e gli altri solitamente assenti al momento della registrazione) che vengono dunque apposte dal facilitatore o da imprecisati terzi ignoti agli intervistati;

e) completi inoltre delle legalizzazioni delle autorità locali (incluso questo Ministero degli Esteri) cui infatti provvede lo stesso facilitatore.

Trattandosi ai fini del ricongiungimento senza prole dell'unico documento formale della pratica, il certificato ottenuto nella maggior parte dei casi nei modi sopra illustrati difficilmente può ritenersi conforme al nostro diritto e questo nonostante le attestazioni ricevute da Khadi o dal Ministero degli esteri che appaiono sempre un mero passaggio amministrativo privo di verifiche sostanziali. La sola apposizione delle firme da parte di terzi sullo stesso certificato potrebbe, a titolo di esmpio, essere considerata alla stregua di un fondamentale vizio formale che inficia l'atto.

Tale quadro rileva ai fini del diniego di richieste di visto basate sui certificati così acquisiti, anche in vista di probabili successivi ricorsi presso le autorità giudiziarie italiane intentati dai richiedenti. In particolare si sarà grati per un cortese parere se la valutazione del diniego stesso debba avvenire formalmente sulla base di difetto di forma del certificato (nonostante le successive legalizzazioni) probante lo stato coniugale, che è da ritenersi "falso", ovvero sulla base di negativi riscontri sostanziali che emergono in sede di intervista.