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AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO  
PARERE 12 settembre 2012
  OGGETTO: Attribuzione della cittadinanza iure matrimonii. Tutela giurisdizionale.  
 


 
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La questione giuridica prospettata da codesta Amministrazione con la nota che si riscontra riguarda in particolare il profilo della giurisdizione competente a conoscere delle controversie in materia di acquisto della cittadinanza iure matrimonii.

Si tratta, in particolare, dei tanti casi di cittadinanza presentata ex art. 5 L. 91/92  , il cui aumento esponenziale, trend previsto anche per l'immediato futuro, ha suggerito all'amministrazione di decentrare la competenza ad emanare i relativi provvedimenti, tutti finora di spettanza dell'Autorità politica (Ministro dell'Interno), alla dirigenza prefettizia.

Competenza politica che permane soltanto nelle ipotesi in cui, durante l'istruttoria, vengano in rilievo ragioni potenzialmente ostative, inerenti alla sicurezza della Repubblica ( art. 6 c.1 lett. c, L. 91/92  ) : trattasi, invero, dell'unica ipotesi di causa preclusiva all?acquisto della cittadinanza iure matrimonii che involge una valutazione discrezionale da parte della P.A.

Le sezioni unite della Corte di Cassazione, sin dal lontano 1993, con la sentenza n. 7441 hanno qualificato l'acquisto della cittadinanza iuris communicatio come "un diritto soggettivo dello straniero che possegga i requisiti legali e nei cui confronti non sussistano le cause preclusive indicate dalla legge".

Aggiunge la Corte: "diritto che affievolisce, e diviene posizione di interesse legittimo, in presenza dell'esercizio, da parte della PA del potere ad essa demandato di valutare la sussistenza di ragioni ostative inerenti alla sicurezza della Repubblica, in quanto in detta ipotesi è riscontrabile uno spazio valutativo discrezionale..." affievolimento che, quindi, radica la giurisdizione delle relative controversie in capo al giudice amministrativo.

Nella medesima sentenza, inoltre, testualmente si legge, :..."Comunque l'esercizio di tale potere discrezionale risulta precluso per effetto dell'inutile decorso del tempo previsto dalla legge; con la conseguenza che, decorso un anno (oggi un biennio) dalla presentazione dell'istanza, la mancata emissione del decreto viola il diritto soggettivo che il richiedente vanta all'emanazione del provvedimento; sicché in tal caso l'interessato può chiedere al giudice ordinario di verificare l'esistenza dei presupposti di cui all'art. 1 e, in caso di esito positivo della verifica, di dichiarare che l'istante è cittadino...".

Ipotesi di inerzia si precisa, alla quale, sin dalla Sentenza succitata del 1993, la Suprema Corte ha escluso potersi ricollegare un'ipotesi di silenzio assenso: per la mancanza, in primis, di una esplicita previsione legislativa configurativa di esso, nonché per l'inopportunità che uno status cosi rilevante quale quello civitatis venisse attribuito senza che una previa effettiva valutazione dei presupposti per la sua concessione.

Secondo un consolidato ma ormai quasi superato orientamento della giurisprudenza, soltanto a fronte dell'inutile decorso del termine si creerebbe quella posizione di diritto soggettivo in capo all'istante che consente il vaglio del giudice ordinario: cosicché, soltanto decorsi inutiliter i 730 giorni concessi dalla legge per la pronuncia espressa e precluso ormai alla P.A. l'esercizio del potere discrezionale, ritiene sussistere il diritto soggettivo dell'istante all'emanazione del provvedimento stesso, previa, ovviamente, verifica dei requisiti necessari richiesti dalla legge, con conseguente giurisdizione del G.O.

Capovolgendo il suddetto indirizzo, un più recente ed ormai prevalente orientamento della giurisprudenza individua la giurisdizione del G.A. nella sola ipotesi di diniego per motivi inerenti la sicurezza della Repubblica, devolvendo al G.O., sia le indiscutibili ipotesi di inerzia sopramenzionate, sia anche ogni contestazione relativa anche ai tempestivi provvedimenti di rigetto altrimenti motivati (difetto dei requisiti legali).

E proprio in relazione a tale ultima categoria di atti, il notevole incremento delle pronunce di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del G.A. è tale da non rendere necessaria una pronuncia sul punto della Suprema Corte, che, evidentemente, non farebbe che reiterate il dictum già sancito sul punto con la sentenza succitata e pedissequamente ribadito in quella n. 1000/1995, richiamata nella nota che si riscontra: dictum al quale la giurisprudenza ormai maggioritaria sta fornendo l'esposta interpretazione, alla quale è, quindi, opportuno che codesta Amministrazione adegui i provvedimenti amministrativi de quibus, segnalandone, in calce la ricorribilità, in caso di contestazione, al G.O., preclusiva, chiaramente del ricorso straordinario al Capo dello Stato.


 

Ilia Masserelli: Avvocato incaricato

Raffaele Tamiozzo: Vice Avvocato dello Stato