VISTA la relazione 13 gennaio 1997, prot. K14/1, con la quale il Ministero dell'Interno (Direzione generale amministrazione generale e affari del personale - Servizio cittadinanza - divisione cittadinanza) ha posto un quesito di diritto intertemporale sull'applicabilità dell'art. 8; n. 1, della legge 13 giugno 1912, n. 555 , nei confronti della donna italiana naturalizzata straniera in costanza di matrimonio:
ESAMINATI gli atti ed udito il relatore;
RITENUTO in fatto quanto esposto dal Ministero riferente;
CONSIDERATO:
1. Il Ministero dell'Interno riferisce che si pone una questione di diritto intertemporale in relazione alle norme di tempo in tempo succedutesi in materia di cittadinanza della donna coniugata.
2. Il sistema delineato dalla legge 13 giugno 1912, n. 555 , era coerente:
l'art. 10 al primo comma disponeva che "la donna maritata non può assumere una cittadinanza diversa da quella del marito"; al secondo comma disponeva che "la donna straniera che si marita ad un cittadino acquista la cittadinanza italiana" e al terzo comma che "la donna cittadina che si marita a uno straniero perde la cittadinanza italiana, sempreché il marito possegga una cittadinanza che pel fatto del matrimonio a lei si comunichi".
Inoltre l'art. 11 disponeva che i mutamenti di cittadinanza del marito, sopravvenuti al matrimonio, estendessero di diritto i loro effetti anche alla moglie.
Il principio della necessaria comunanza di status civitatis fra marito e moglie, e della prevalenza dello status del marito comportava, fra l'altro, che la donna coniugata ad un cittadino italiano conservava in ogni caso, la cittadinanza sino a che la conservasse il marito, anche se si determinavano nei di lei riguardi quei presupposti che secondo le regole generali ne avrebbero comportato la perdita (es.: acquisto volontario di una cittadinanza straniera congiuntamente l'assunzione della residenza all'estero).
3. Tale sistema è stato parzialmente modificato, per la parte qui interessa, dalla sentenza della Corte costituzionale n 87 del 1975, e dalla legge 23 aprile 1983, n 123 , che hanno affermato, in sostanza, il diritto della donna di conservare la cittadinanza italiana (salvo rinuncia) anche in caso di acquisto di una cittadinanza straniera per effetto di matrimonio o per effetto dell'assunzione di una cittadinanza straniera da parte del marito.
Infine la materia della cittadinanza è stata interamente e organicamente ridisciplinata dalla legge n. 91 del 1992 , nella quale non risulta riprodotta la norma per cui "la donna maritata non può assumere una cittadinanza diversa da quella del marito" e s'ispira anzi, in generale, al principio della reciproca autonomia dello status civitatis dei coniugi, salve le libere opzioni.
4. Ciò premesso, il Ministero pone il quesito se per effetto delle innovazioni intervenute medio tempore si possa ritenere abrogata già prima dell'entrata in vigore della legge n 91/92 la regola per cui "la donna maritata non può assumere una cittadinanza diversa da quella del marito".
Più precisamente, i termini della questione sono i seguenti.
Posto che vigente la legge del 1912 nel suo testo originario era pacifico che la donna coniugata ad un cittadino italiano conservasse in ogni caso la cittadinanza sino a che la conservava il marito, ci si chiede se questa regola abbia continuato ad applicarsi anche dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1975 e dopo la parziale riforma legislativa del 1983.
5. Il Collegio ritiene che si debba dare risposta affermativa.
L'art. 10, primo comma, della legge n. 555 del 1912 è rimasto in vigore sino al 1992, nella parte in cui attribuiva alla donna coniugata con un cittadino italiano il diritto di conservare la cittadinanza italiana, ancorché si determinassero nei di lei confronti quei presupposti che secondo le regole generali ne avrebbero determinato la perdita.
La sentenza della Corte costituzionale e la riforma legislativa del 1983 sono entrambe orientate in senso favorevole alla conservazione della cittadinanza italiana da parte della cittadina che contrae matrimonio con uno straniero, ovvero il cui coniuge italiano perde, in costanza di matrimonio, la cittadinanza italiana. Né l'una né l'altra sono incompatibili con la regola sopra citata, il cui effetto è quello di far conservare la cittadinanza italiana alla donna coniugata con un cittadino italiano, quali che siano le sue vicende personali.
Che è quanto dire che l'art. 10, comma 1, non è stato abrogato per intero ma solo nella parte in cui comportava che una donna perdesse la cittadinanza italiana contro la propria volontà; è invece rimasto vigente sino al 1992, nella parte in cui escludeva che la donna perdesse detta cittadinanza, contro la propria volontà.
Di conseguenza, il disposto dell'art. 8, comma 1, della legge n. 555 del 1912 è rimasto improduttivo di effetti, nei confronti della donna coniugata con un cittadino italiano, sino all'entrata in vigore della legge n. 91 del 1992 (salvo, si deve intendere, il diritto di rinunciare alla cittadinanza italiana).
6. In questa luce appare logicamente superata l'ultima parte del quesito. riferita dal Ministero all'ipotesi della donna che abbia maturato le condizioni previste dall' art. 8, comma 1, della legge n. 555/1912 , conservando la cittadinanza italiana per effetto dell' art. 10, comma 1, della stessa legge , e continui a trovarsi nelle stesse condizioni dopo l'abrogazione di quest'ultima disposizione.
Se tale abrogazione, per il profilo che qui interessa, si è verificata non per effetto della legge n. 123/83 (come ipotizzato dal Ministero) ma per effetto della legge n. 91/92 (come ritenuto da questo Collegio) la questione non si pone: alle persone che all'entrata in vigore di quest'ultima legge si trovassero nelle condizioni sopra descritte si applica l'art. 11 della nuova legge, che al contrario della precedente ammette la doppia cittadinanza a scelta della persona interessata.
P.Q.M.
nelle suesposte considerazioni è il parere.