AI SIGG.RI PREFETTI LORO SEDI
AL SIG. COMMISSARIO DEL GOVERNO PER LA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
AL SIG. COMMISSARIO DEL GOVERNO PER LA PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO
AL SIG. PRESIDENTE DELLA REGIONE AUTONOMA VALLE D'AOSTA - AOSTA
e, per conoscenza, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE - ROMA
AL DIPARTIMENTO PER GLI AFFARI INTERNI E TERRITORIALI Direzione Centrale per i Servizi Demografici - SEDE
In relazione al procedimento di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis, si ritiene opportuno rappresentare alle SS.LL qui di seguito le nuove linee interpretative dettate da recenti sentenze della Suprema Corte di Cassazione.
Ciò, anche alla luce di una serie di quesiti pervenuti in materia dalle Prefetture nonché direttamente dai Comuni.
1. Rapporto tra l'art. 7 e l'art. 12 della legge n. 555 del 1912 .
Com'è noto, talune disposizioni della previgente legge n. 555/1912 , seppur abrogate, rilevano ancora oggi al fine di chiarire le sorti di cittadinanza verificatesi antecedentemente all'entrata in vigore della legge n. 91/1992 , al fine di appurare se sia possibile riconoscere la cittadinanza Italiana iure sanguinis - sulla base dell'ininterrotta trasmissione della stessa - al discendenti di cittadini italiani rivendicanti il nostro status civitatis.
In particolare, deve porsi il problema del rapporto tra l' art. 7 della legge n. 555/1912 (disposizione che regolava le ipotesi di bipolidia per i nati nei Paesi che attribuiscono la cittadinanza iure soli) e l'art. 12, secondo comma, della medesima legge che prevede: "i figli minori non emancipati di chi perde la cittadinanza divengono stranieri, quando abbiano comune la residenza col genitore esercente la patria potestà o la tutela legale, e acquistino la cittadinanza di uno Stato straniero. Saranno però loro applicabili le disposizioni degli articoli 3 e 9°.
Al riguardo, sono di recente emerse nuove linee interpretative da parte della Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. I, Ord., n. 454/2024 e n. 17161/2023), che si è espressa nell'ambito di una serie di ricorsi proposti da cittadini stranieri che avevano adito le Autorità giurisdizionali italiane per vedersi riconosciuto il nostro status civitatis in virtù di presunta discendenza da avo italiano.
Nelle fattispecie interessate, l'avo aveva perduto la cittadinanza italiana avendo scelto di naturalizzarsi cittadino straniero e così l'aveva perduta anche il figlio (all'epoca minorenne) che, alla nascita nello Stato di residenza, era sia cittadino italiano iure sanguinis per derivazione paterna, sia cittadino straniero iure soli; ciò, per il fatto di non aver manifestato la volontà di riacquistare la cittadinanza italiana, ai sensi dell' art. 12 legge n. 550/1912 , non ricorrendo le altre condizioni previste dall'art. 9 della stessa legge.
In merito alle situazioni di bipolidia regolate dalla legge n. 555/1912 , il Supremo Consesso ha affermato: "in definitiva, la legge n. 555/1912 riconosceva la bipolidia nei termini di cui appresso: Il figlio di cittadino italiano nato all'estero poteva contemporaneamente acquisire la cittadinanza italiana iure sanguinis e la cittadinanza del luogo di nascita iure soli, e in tal caso aveva diritto a conservare la doppia cittadinanza, restando a tutti gli effetti cittadino italiano, salvo rinuncia da maggiorenne, a meno che - nelle more della sua minore età - il padre convivente non perdesse la cittadinanza italiana, e segnatamente, nel caso di naturalizzazione, per atto di impulso volontario, vale a dire in ragione di una decisione che, in quanto adottata dal "capo famiglia" titolare della patria potestà, produceva effetti anche nella sfera giuridica dei figli a minori a lui sottoposti. Questa è l'unica interpretazione possibile del testo normativo, in ragione del criterio letterale, ma anche avendo riguardo alla sua ratio legis, poiché esso è chiaramente finalizzato a conservare l'unità di cittadinanza all'interno della stessa famiglia, nei termini in cui essa era intesa tanto nel 1865 che nel 1912, e cioè come comunità in cui era individuabile un "capo famiglia" che aveva la potestà sui minori, si assumeva la responsabilità di proteggere i soggetti minus habens (moglie e figli) e adottava decisioni che vincolavano tutti; e sempre che l'unità familiare fosse effettiva, in ragione della comune residenza". (Cass. civ. Sez. I,Ord., n. 454/2024).
Ne consegue, dunque, che a seguito della naturalizzazione volontaria (nel corso della minore età del figlio bipolide alla nascita) del genitore con lui convivente, le linee di trasmissione sono da considerarsi interrotte laddove l'ascendente in questione non abbia riacquistato la cittadinanza italiana una volta divenuto maggiorenne. In tali casi, infatti, il mancato riacquisto della cittadinanza italiana impedisce la capacità di trasmettere il nostro status civitatis alla propria linea di discendenza.
Al fine di adeguare prontamente l'azione amministrativa alle suddette chiare indicazioni giurisprudenziali, si ritiene che, nell'ambito dell'analisi delle istanze di cittadinanza iure sanguinis, si possa sin d'ora tenere conto del nuovo orientamento e delle conseguenti linee interpretative.
Pertanto, in sede di analisi istruttoria delle domande di cittadinanza iure sanguinis potenzialmente interessate dalla fattispecie interruttiva in parola, l'istante dovrà produrre prova dell'avvenuto riacquisto della cittadinanza italiana da parte dell'avo che abbia perso la_cittadinanza italiana da minorenne per effetto della naturalizzazione volontaria del genitore, anche nel caso in cui fosse già in possesso della cittadinanza straniera per essere nato in un Paese ove vige il criterio di attribuzione della cittadinanza iure soll.
Il documento di "non naturalizzazione", rilasciato dalle competenti Autorità dello Stato estero di emigrazione (munito di traduzione ufficiale in lingua italiana di cui al punto 5) della circolare K.28.1/1991) dovrà dunque attestare che l'avo italiano a suo tempo emigrato dall'Italia non ha acquistato volontariamente la cittadinanza dello Stato estero di emigrazione. Viceversa, ove l'avo abbia acquistato volontariamente la cittadinanza estera, nel documento dovrà essere attestata la data della sua naturalizzazione al fine di accertare che la naturalizzazione medesima sia intervenuta nel corso della minore età del discendente (e non più solo anteriormente alla nascita del discendente stesso).
Nel caso si verifichi la perdita della cittadinanza italiana a norma dell' art. 12, secondo comma, della legge n. 555/1912 di uno degli ascendenti del rivendicante lo status civitatis italiano, al fine di poter riconoscere tale status sarà necessario che l'istante produca la documentazione comprovante il riacquisto della cittadinanza italiana a norma degli articoli 309 della legge n. 555/1912 presso gli Uffici di stato civile in Italia o all'estero del luogo in cui l'ascendente abbia trasferito la propria residenza, purché il riacquisto della cittadinanza italiana da parte dell'ascendente sia intervenuto prima della nascita dei propri discendenti in linea retta.
Sono comunque fatti salvi i diritti già acquisiti dai terzi.
2. Decorrenza dell'acquisto della cittadinanza da parte di coloro che siano stati riconosciuti da cittadino italiano o la cui filiazione sia stata dichiarata giudizialmente nel corso della loro maggiore età.
In merito alla decorrenza dell'acquisto della cittadinanza italiana per colui che venga riconosciuto o dichiarato giudizialmente figlio di genitore di italiano durante la maggiore età e abbia reso, nei termini di legge, l'elezione della cittadinanza italiana, deve rappresentarsi quanto segue.
Come noto, tale ipotesi di acquisto della cittadinanza, finora annoverata tra quelle a titolo derivativo, è attualmente disciplinata dall' articolo 2, comma 2, della legge n. 91/1992 .
Nel silenzio della legge, l'acquisto della cittadinanza italiana in tali casi è stato sempre inteso come decorrente dal giorno successivo alla manifestazione di volontà dell'interessato a voler divenire cittadino italiano, ritenendosi applicabile, anche alle predette fattispecie, l' art. 15 della legge n. 91/1992 , secondo cui "L'acquisto o il riacquisto della cittadinanza ha effetto, salvo quanto stabilito dall'articolo 13, comma 3, dal giorno successivo a quello in cui sono adempiute le condizioni e le formalità richieste".
Sul punto, la Corte di Cassazione con sentenza n. 5518/2024 è addivenuta ad una interpretazione differente, facendo leva sulla assoluta parificazione della condizione dei figli riconosciuti contestualmente alla nascita e di coloro che lo divengono dopo il raggiungimento della maggiore età.
Più in particolare, la Corte ha avuto modo di precisare che: "il figlio maggiorenne o riconosciuto o dichiarato di cittadino italiano non acquisisce uno status diverso da quello del figlio di cittadino italiano regolarmente sposato e nato in costanza di matrimonio. Egli è italiano perché è figlio di cittadino italiano iure sanguinis e a titolo originario". Secondo il Supremo Consesso, quindi: "non vi è dunque la necessità di una regolamentazione ad hoc della decorrenza dell'effetto, già disciplinata dall'art. 1 in generale [...] L'art. 2, comma 2, introduce una condizione sospensiva potestativa, che, ove realizzata, produce lo stesso effetto dell'acquisto iure sanguinis, come avviene per il figlio minorenne riconosciuto o per il figlio nato in costanza di matrimonio".
Pertanto, l'atto di elezione, più che rivestire carattere costitutivo in materia di acquisto della cittadinanza, ha funzione di tutela dell'autodeterminazione del singolo, il quale potrebbe decidere se essere investito del nostro status civitatis o meno a seguito del riconoscimento della filiazione.
D'ora in avanti, pertanto, il suddetto atto di elezione - che rimane ovviamente condizione per l'attribuzione della cittadinanza iure sanguinis in queste ipotesi - non dovrà più essere preso a riferimento ai fini della decorrenza dell'acquisto della cittadinanza italiana, dovendosi piuttosto ritenere che detto acquisto (anche nella casistica in esame) retroagisca alla nascita, investendo così gli eventuali discendenti.
Alla luce di quanto sopra, si rende quindi necessario precisare che ai fini della ricostruzione della linea di trasmissione della cittadinanza iure sanguinis, in tutti i casi di filiazione fuori del matrimonio, dovrà essere acquisito l'atto o la dichiarazione giudiziale di riconoscimento del rapporto di filiazione tra l'interessato o l'ascendente e il genitore già cittadino italiano che trasmette tale cittadinanza iure sanguinis, appurando l'eventuale verificarsi delle condizioni dell' art. 2 della legge n. 91/1992 (nonché dell' art. 2 della legge n. 555/1912 , nel caso in cui la fattispecie in esame riguardi un ascendente destinatario delle disposizioni della previgente legge).
3. Possesso ininterrotto dello stato di figlio.
Si ritiene, infine, opportuno precisare l'ambito di operatività dei principi enucleati dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 14194 del 22 maggio 2024 relativa a una causa iure sanguinis che era stata rigettata dall'ufficiale dello Stato civile per impossibilità degli istanti di produrre un atto di nascita dell'avo italiano, ossia dell'ascendente in linea retta del quale essi rivendicavano la cittadinanza. Nella suddetta pronuncia è stato affermato che il riconoscimento postumo, effettuato nell'atto di matrimonio, sia di per sé fondante il possesso continuo dello stato di figlio e idoneo a comprovare la paternità e la conseguente trasmissione della cittadinanza italiana.
La Suprema Corte ha precisato che è possibile sopperire alla mancanza e/o al vizio dell'atto di nascita o delle relative indicazioni di paternità e maternità presenti in esso attraverso l'art. 237 c.c. , secondo cui: "il possesso di stato risulta da una serie di fatti che nel loro complesso valgano a dimostrare le relazioni di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere. In ogni caso devono concorrere seguenti fatti: che il genitore abbia trattato la persona come figlio ed abbia provveduto in questa qualità al mantenimento, all'educazione e al collocamento di essa; che la persona sia stata costantemente considerata come tale nel rapporti sociali; che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia".
Come noto, tale norma può essere applicata solo in via sussidiaria rispetto all'art. 236, primo comma, c.c. , a mente del quale la filiazione si prova con l'atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile; ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, solo in mancanza dell'atto di nascita potrà farsi ricorso al possesso continuo dello stato di figlio.
In ogni caso, si esprime l'avviso che l'applicazione di tale disposizione non risulti estensibile anche ai procedimenti di carattere amministrativo, in quanto all'Autorità amministrativa non compete la ricognizione sostanziale dello status civitatis personae (di spettanza della magistratura ordinaria) perché dispone unicamente di poteri certificativi in ordine al possesso della cittadinanza iure sanguinis, da attestare tramite documenti che provano inequivocabilmente la titolarità senza interruzione tra generazioni.
Alla luce di quanto suesposto, si ritiene che tale principio possa essere fatto valere esclusivamente in sede giurisdizionale.
Si invitano le SS.LL. a voler rappresentare quanto sopra ai Sindaci e agli Ufficiali di Stato civile dei comuni della rispettiva provincia, al fine di adeguare l'azione amministrativa ai più recenti orientamenti della Corte di Cassazione.
IL DIRETTORE CENTRALE Orano